Vive in Veneto, Friuli-Venezia Giulia o Trentino-Alto Adige. Ha una laurea appesa dietro la scrivania e risorse economiche ottime. È questo l’identikit del volontario italiano tipo. Dei 7 milioni di residenti che ogni anno prestano la loro opera in attività non remunerate, il 16% vive al Nord-Est (quasi il doppio del Sud 8,6%), il 22% ha una laurea (contro il 6% dei volontari con licenza elementare) e il 23% vanta un buon reddito (solo il 10% di coloro che hanno un reddito insufficiente prestano gratuitamente la loro opera).

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I socialmente più impegnati sono gli occupati che rappresentano il 15% del totale, subito seguiti dagli studenti con il loro 13%. Tra uomini e donne, non c’è differenza per un impegno medio per ogni volontario di 20 ore al mese e una retribuzione “ombra” annua di circa 16 miliardi di euro.

E in un paese che si sta laicizzando, in realtà le associazioni che più catalizzano l’attenzione degli italiani sono quelle con finalità religiosa che raccolgono l’adesione di un volontario su quattro. Seguono le attività ricreative e culturali con il 17% e il settore sanitario come Croce Rossa o Azzurra e tutte le altre che raggiungono il 14%.

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A spingere le persone a dedicare il loro tempo agli altri, ci sono delle profonde convinzioni: il 62% delle persone svolge attività gratuita perché crede nella causa sostenuta dal gruppo di cui fa parte.  Una piccola originalità la dimostrano gli under 35 per cui fare volontariato vuol dire stare con gli altri, conoscere nuove persone e anche mettersi alla prova.

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