La brusca caduta dei consumi del 2012 è l’ultimo anello di una catena di eventi innescato dall’eccesso di spesa accumulato nell’economia mondiale negli ultimi anni.

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La brusca caduta dei consumi del 2012 è l’ultimo anello di una catena di eventi innescato dall’eccesso di spesa accumulato nell’economia mondiale negli ultimi anni. Sia che fossero i consumi ipertrofici delle famiglie (soprattutto negli Usa) che gli sperperi delle finanze pubbliche (l’Italia in primis) la crisi è il risultato di una società che in diversi modi ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità e, incoraggiata da un accesso al credito troppo facile, ha accumulato un impressionante stock di debito pubblico e privato. È di una disarmante evidenza che non si raggiungerà un nuovo equilibrio sino a quando questo debito non sarà ricondotto a dimensioni più fisiologiche. In Italia tale aggiustamento, troppo a lungo rinviato, si è imposto nell’ultimo anno in maniera drammatica e ha preso la forma di una riduzione della spesa pubblica e soprattutto di una incremento della pressione fiscale sui redditi delle famiglie. Proprio sulle loro spalle è stato caricato, da ultimo, il peso di tale aggiustamento. Gli italiani sembrano aver colto, però, le ragioni profonde della crisi e l’ineluttabile necessità di risolvere gli squilibri che l’hanno generata. Sembrano, anzi, consapevoli di quanto ancora lunga e difficile sia la strada che conduce al ripristino di nuove condizioni di crescita per il Paese. Intimorite da questa realtà, sfibrate da oltre un decennio di difficoltà economiche, le famiglie italiane appaiono sfiduciate, in apprensione per il futuro, probabilmente infelici. Infatti, già nel 2010, in ben altre condizioni percettive, gli italiani si dichiaravano appena soddisfatti del loro benessere, con un netto arretramento rispetto al 2007 e molto lontani dai livelli degli altri paesi europei più importanti. In questo senso i divari sociali che caratterizzano l’Italia spiegano certamente una parte importante del mancato benessere percepito nel Paese. I giovani, le donne, gli italiani del Sud, naturalmente le famiglie meno agiate sono oggi i soggetti passivi di tali disuguaglianze. Ma la felicità non ha, però, una esclusiva matrice economica, certamente reddito e ricchezza permettono una vita con minori difficoltà, ma il giudizio degli italiani sul proprio benessere appare legato (anche) ad altre dimensioni, affettive, sociali, demografiche. Ad uno sguardo più attento si nota che la mancata felicità è legata al loro progressivo invecchiamento, alla sempre più diffusa assenza di figli, alla carenza di forti reti familiari e relazionali. Le analisi rivelano, infatti, che nonostante le difficoltà economiche i giovani e le famiglie con figli vivono una vita più soddisfacente e dichiarano un più elevato livello di felicità. Emerge un quadro in cui, ridare serenità alle famiglie, farle guardare al domani con meno timore, incrementare la percezione del loro benessere, rappresenta al fianco del risanamento economico, una delle sfide più difficili per la società italiana dei prossimi anni. Una sfida da cogliere con politiche nuove, non solo pensando al mero incremento dei redditi, peraltro molto difficili da finanziare. In questo quadro, la violenta riduzione della spese delle famiglie è legata non solo alle determinanti oggettive (disoccupazione, diminuzione dei redditi, imposizione fiscale, incertezza sul futuro) ma rivela anche una profonda revisione del concetto stesso di consumo e la ricerca di stili di vita più sostenibili. Il consumo smette di essere elemento identitario e di rappresentazione di sè e diviene sempre più strumento di soddisfazione dei bisogni e mezzo per vivere in modo confortevole. Nel nuovo paradigma del consumo, innanzitutto, si tagliano gli sprechi e si rinuncia a tutto ciò che è superfluo. Le risorse così recuperate vengono indirizzate a tutelare quei consumi che permettono di risolvere i problemi della vita quotidiana e aumentano il benessere della famiglia. Gli italiani si sforzano di utilizzare gli oggetti e i beni di cui dispongono anche quando vi sarebbero le possibilità economiche per comperarne di nuovi. Il segnale più evidente di questo nuovo approccio è la netta riduzione delle spese per l’auto. Nel 2012 in Italia si venderanno lo stesso numero di auto degli anni ’70 e i carburanti sono in riduzione di circa il 10% sull’anno precedente. Ma cade la spesa anche per gli elettrodomestici e l’arredamento, l’abbigliamento e persino per l’alimentare. Oltre al taglio del superfluo, la riduzione degli sprechi è testimoniata ancora dal calo degli acquisti di generi alimentari, dalla riduzione dei consumi di energia elettrica, gas e acqua, dai minori rifiuti prodotti. Contemporaneamente, però, gli italiani difendono la qualità intrinseca dei loro consumi e continuano a cercare servizio e benessere. L’andamento dei consumi alimentari rappresenta in questo senso lo specchio più fedele di questo nuovo modello di consumo. Anzi, è proprio il largo consumo la palestra dove gli italiani hanno messo a punto quelle strategia di contenimento della spesa poi “esportate” anche nelle altre merceologie. In questo senso, nel 2012 è continuata quella spending review del carrello iniziata da quasi un decennio: più frequente ricorso ai formati di vendita più comodi e convenienti (discount e superstore, soprattutto), maggiore attenzione ai prodotti scontati o in promozione (pressione promozionale oramai al 30%), spostamento verso le merceologie più economiche (dalle carni rosse al pollame, dal vino alla birra), scivolamento lungo la scala di prezzo (dai prodotti di marca a quelli a marchio commerciale e da questi ultimi a quelli unbranded, i cosiddetti “primi prezzi”). Ma il dato più sorprendente degli ultimi mesi è certamente la riduzione delle quantità acquistate. Le famiglie una volta messe in campo tutte le strategie di risparmio sinora già utilizzate anche nell’alimentare hanno ridotto gli sprechi e tagliato il superfluo. Si limitano gli sprechi attraverso un uso più attento delle quantità acquistate: lavatrici a pieno carico, riutilizzo degli avanzi di cibo, attenzione alle scadenze, confezioni più piccole e acquisti più frequenti, ritorno alle preparazioni domestiche. Si riducono i consumi più effimeri (bevande, snack e fuori pasto, prodotti ausiliari della detergenza). Tutto questo, però, tentando di difendere i valori del consumo alimentare: origine nazionale del prodotto, qualità intrinseca, attenzione al benessere e alla salute. In questo senso, in maniera contro intuitiva, crescono i prodotti a maggior valore unitario, continua l’ascesa dei prodotti salutistici e funzionali, si allargano i consumi bio, tengono le vendite di prodotti di più facile conservazione e consumo (salumi e formaggi, preparati pronti). Anche grazie a questo atteggiamento dei consumatori italiani, la filiera alimentare si sta dimostrando uno dei pilastri che permettono ancora la tenuta del Paese e uno dei pochi settori a poter vantare un evidente potenziale di sviluppo futuro. L’agricoltura nazionale, pur nelle difficoltà di una cronica arretratezza, è riuscita a tenere i livelli produttivi precedenti alla crisi e si avvantaggia dei rincari che ciclicamente interessano i mercati delle materie prime alimentari. Allo stesso modo, a differenza degli altri settori manifatturieri (con riduzioni produttive anche superiori al 30%) l’industria alimentare ha subito una contrazione dei volumi produttivi di pochi punti percentuali sorretta dalla progressiva crescita delle esportazioni ma soprattutto dalla strenua difesa delle famiglie dei consumi di qualità e di origine italiana. La salute dell’industria alimentare è confermata dal buon andamento dei bilanci delle imprese che eguagliano le performance medie europee e addirittura migliorano negli anni della crisi. A differenza delle componenti produttive è invece il settore distributivo a subire maggiormente la crisi dei consumi. Negli ultimi anni si riducono di oltre il 3% i negozi alimentari italiani e la stessa Gdo per la prima volta vede fermarsi la dimensione totale delle superfici di vendita moderne. Per la prima volta le chiusure (soprattutto al Sud e nei formati più piccoli) superano le aperture (in particolare discount e superstore) e segnalano una diffusa condizione di difficoltà delle imprese. Le performance di bilancio delle grandi imprese distributive presenti in Italia sono molto distanti dalla media europea ed in netto peggioramento. Peraltro, la nuova disciplina sui pagamenti e le relazioni di filiera (cosidetto art.62) costituirà un ulteriore stimolo al processo di ristrutturazione del settore con un presumibile incremento delle chiusure e possibile espulsione di manodopera. Rapporto Coop 2012 (Anteprima digitale – sett. 2012) Rapporto Coop 2012 (libro – dic. 2012)