Mentre Zuckerberg chiede scusa per aver permesso l'accesso ai dati di 50 milioni di statunitensi su Facebook, siamo andati a spulciare i database di Eurobarometro a caccia di qualche informazione. Abbiamo scoperto che la tematica preoccupa non poco gli italiani anche se non leggiamo le policy di trattamento quasi mai e speriamo che siano lo Stato e le Big Company del web a proteggerci

Ogni volta che apriamo un nuovo profilo su un social network o ogni volta che scarichiamo una nuova app, spuntiamo una piccola casellina con cui autorizziamo il trattamento dei nostri dati personali o di alcuni dati contenuti nel nostro smartphone. E stando a uno studio di Eurobarometro,  sono più le volte che non sappiamo cosa stiamo accettando, piuttosto che quelle in cui abbiamo letto la complessa e spesso lunga policy per la privacy. In Italia solo 18 utenti su 100 conoscono le condizioni di raccolta e trattamento dei dati personali, contro il 27% che lo sa raramente, un italiano su 10 che non lo sa mai e quasi uno su due (43%) che conosce le clausole solo a volte. Certo siamo in buona compagnia. Il 27% dei francesi conosce le policy raramente e il 16% mai e allo stesso modo quasi 3 tedeschi su 10 spesso non sanno cosa hanno sottoscritto e il 12% non lo sa mai.

Nei giorni dello scandalo Facebook-Cambridge Analytica (il social è stato accusato di aver concesso alla società di analisi britannica di profilare 50 milioni di utenti statunitensi per poi inviare loro messaggi elettorali confezionati ad ok) non stupisce leggere che solo il 15% di internauti europei ritiene di avere un controllo completo sulle informazioni personali fornite online, con percentuali comprese tra il 4% dei tedeschi e il 31% dei greci (in Italia la stessa percentuale è del 19%, poco al di sopra della media europea).  

Sembra che la percezione della sicurezza dipenda in qualche misura dall’utilizzo che si fa di internet o quantomeno coloro chi utilizzano certe applicazioni, si sentono più sicuri sul trattamento dei propri dati. Difficile stabilire se questa fiducia sia pregressa all’utilizzo (cioè per esempio, uso l’e-banking perché so che è sicuro) o posteriore (ho usato l’e-banking spesso, lo conosco e quindi mi sento più sicuro). Fatto sta che i dati dimostrano che la percentuale di internauti che ritengono di non avere alcun controllo sulle informazioni fornite si riduce sensibilmente tra coloro che utilizzano servizi online (messaggistica, social network, commercio elettronico etc.). Da notare che la sicurezza è inversamente personale alla sensibilità dei dati diffusi. Per esempio coloro che usano l’ e-banking si sentono più sicuri di chi usa app di messaggistica o social network nonostante sul primo strumento girino dati sensibili che riguardano conti correnti e sull’altro invece siano diffuse per lo più foto o notizie personali.

Ma a chi sta il controllo dei nostri dati? Su questo gli europei si differenziano da Paese a Paese. La maggioranza degli italiani (72%) attribuisce il compito alle autorità pubbliche o alle stesse Big Company del web. Al contrario il 77% dei francesi fanno ricadere su se stessi il compito di controllare i dati on line (in Italia sono solo il 46%).

Il trattamento dei dati personali sta divenendo ogni giorno più interessante per i cittadini. Tra le paure che riguardano questo tema, al primo e secondo posto troviamo il timore di essere frodati, ma al terzo emerge già la preoccupazione  che i dati siano ceduti senza che l’utente lo sappia o che siano utilizzati in contesti diversi da quelli in cui sono stati forniti. Eventuali discriminazioni o un possibile danneggiamento della propria immagine compaiono invece agli ultimi posti della classifica italiana.