Anteprima digitale
Clicca sul pulsante per scaricare il Rapporto Coop 2014 (Anteprima digitale - settembre 2014)
Il 2014 poteva segnare l’avvio della ripresa dell’economia italiana. Purtroppo, però, le speranze sono rimaste disattese e l’anno termina con un andamento economico in miglioramento, ma ancora negativo.
Famiglie e imprese hanno da tempo segnalato che il peggio è alle spalle ma tale recupero della fiducia stenta a tradursi in spesa e investimenti. Una maggiore fiducia che origina dalla consapevolezza di essere andati vicini al fallimento e di aver ripristinato, al caro prezzo dell’austerità, la solvibilità del Paese, condizione necessaria per evitare il commissariamento da parte delle istituzioni europee. Più che ottimismo ciò che famiglie e imprese avvertono è il sollievo dello scapato pericolo.
In questo contesto, le famiglie mostrano una sorprendente resilienza, una eccezionale capacità di resistere agli sconquassi provocati dalla recessione, assorbendone gli urti e mettendo in atto tutti gli accorgimenti necessari a ripristinare l’equilibrio economico nel bilancio domestico. Una capacità di adattamento certamente superiore a quella delle istituzioni e degli altri corpi sociali che mostrano invece una profonda difficoltà ad interpretare il cambiamento e avviare un nuovo corso.
Eppure la dimensione della caduta del Pil del Paese è tale da giustificare un cambiamento di rotta: vale 230 miliardi di euro l’anno la ricchezza ulteriore di cui potremmo godere se la crisi non avesse messo a nudo le nostre debolezze. A tale caduta si aggiunge il peso di uno dei maggiori debiti pubblici al mondo e una cronica incapacità di riformare le istituzioni e i mercati.
La possibilità di ripresa dell’economia italiana rimane dunque fortemente dipendente dal traino del resto del mondo, che per fortuna continua a manifestare un interesse crescente per il Paese, per i suoi prodotti e per le sue aziende, oltre che per il potenziale inespresso del suo patrimonio artistico, culturale, del suo saper vivere. Siamo il primo Paese al mondo quanto al numero di prodotti di qualità certificata eppure non esiste un progetto del Paese che punti alla valorizzazione del buon cibo, dello sconfinato patrimonio culturale di cui siamo dotati e del turismo.
L’occupazione mostra timidi segnali di risveglio ma ci vorrà tempo per recuperare il milione di posti di lavoro persi nella lunga recessione. La crescita della povertà e della deprivazione materiale che arrivano sin dentro il ceto medio imporrebbero manovre ampiamente espansive che rimangono però fortemente condizionate dal patto di stabilità europeo. Per questa ragione, ad esempio, il provvedimento dei cosiddetti 80 euro, sebbene vada sicuramente nella giusta direzione, non appare sufficiente ad una vera ripresa. La dimensione della caduta del Pil necessita di misure paragonabili a quelle di una ricostruzione postbellica. Uno stimolo al ciclo economico potrà arrivare dai nuovi programmi di sostegno della Banca centrale europea, prestiti alle banche condizionati all’erogazione del credito, che raziona ancora il 13% delle imprese italiane afflitte dalla mancanza di oltre 100 miliardi di prestiti negli ultimi tre anni.
Allentare i vincoli europei, accelerare il percorso dell’Unione bancaria e approdare ad una nuova fase dell’unione politica europea rappresentano un passaggio ineludibile per l’Europa e per l’Italia, senza i quali i divari tra i Paesi sono destinati ad ampliarsi e l’euro a rimanere una moneta senza Stato.
È certamente una buona notizia che in questo 2014 il potere d’acquisto delle famiglie abbia smesso di cadere ma il pur debole progresso dei redditi è prevalentemente destinato al risparmio, per ricostituire quel minimo cuscinetto di risorse necessarie a guardare con maggiore serenità al futuro.
Le preoccupazioni del momento per le famiglie si chiamano disoccupazione e pressione fiscale, quelle sull’avvenire si concentrano sulla impossibilità di assicurare un tenore di vita accettabile ai propri figli e alle conseguenze dell’inevitabile arretramento dello Stato sociale in settori chiave come la previdenza, la sanità e l’istruzione.
Nel 2014 anche i consumi hanno smesso di cadere. Il mercato immobiliare, dove la caduta dei prezzi dai massimi ha raggiunto il 20%, sta lentamente ritrovando un suo equilibrio, sostenuto dalla ripartenza del credito bancario: i costi finanziari dell’indebitamento per le famiglie rimangono però elevati e questo fa sì che le compravendite siano destinate a rimanere depresse a lungo.
Non si arresta la corsa delle spese per l’abitazione, che tra affitti, mutui, ristrutturazioni, mobili, elettrodomestici e utenze arrivano ad assorbire sino al 40% del budget familiare. Tra queste la componente “obbligata” delle utenze esibisce i maggiori rincari: forti della ridotta possibilità di scelta che le famiglie possono esercitare, i costi delle utenze (acqua, rifiuti, energia, gas, condominio) hanno messo a segno un progresso del 30% negli anni della recessione.
Si ridimensiona la spesa per tutte le attività del tempo libero tradizionali (sport, cinema, stadi, teatri…) sbaragliate dalle ridotte disponibilità economiche e dal web, che in virtù di una sconfinata disponibilità di contenuti offre occasioni di godimento del tempo libero a costo zero.
Cala anche la spesa per l’alimentazione fuori casa, i giovani fanno ritorno alle abitazioni delle famiglie di origine per il pasto serale e la pausa pranzo lavorativa si trasferisce dal bar alla scrivania dell’ufficio.
Recupera il turismo, dove crescono gli arrivi ma si riduce la durata dei soggiorni: il calo delle presenze negli alberghi è compensato dall’aumento delle condivisioni e dall’affitto di abitazioni private tramite internet.
Si asciuga al pari di tutte le spese non strettamente necessarie l’area del “vizio”: cade il volume del gioco legale, che pur aveva raggiunto livelli di guardia, si riduce il consumo di tabacchi e anche la spesa in bevande alcoliche registra un segno meno. La vittima più illustre del cambiamento dei tempi è l’automobile: gli acquisti delle famiglie hanno toccato nuovi minimi storici, la vetustà del parco circolante motiva un nuovo ciclo di sostituzione che non sembra potersi tradurre in un reale rilancio di questo tipo di consumi.
Un cambiamento di mentalità e di stili di vita che è accompagnato dallo sviluppo di nuove iniziative molto apprezzate dal consumatore: la diffusione degli smartphone consente in pochi tocchi il noleggio dell’auto; la mobilità sta diventando terreno di sperimentazione dei vantaggi dell’economia della condivisione e della collaborazione. Il successo di tali iniziative private, se da un lato manifesta il gradimento per l’innovazione dall’altro è lo specchio delle carenze del trasporto pubblico nel soddisfare una crescente domanda di mobilità e nell’accompagnare le istanze di demotorizzazione del Paese.
L’esclusività del possesso cede il passo alla nuove tendenze: il noleggio e la condivisione, parole che un tempo erano relegate a qualcosa che non si poteva possedere divengono le nuove parole d’ordine di un consumatore in movimento e al passo con i tempi.
Una tendenza che non riguarda solo la mobilità ma investe tutte le dimensioni del consumo (lo scambio alla pari di residenze per vacanze, il prestito tra consumatori di prodotti griffati, la condivisione di spazi e occasioni per il lavoro e la convivialità). Anche la musica e il cinema non si sottraggono: l’ascolto in rete soppianta definitivamente le registrazioni su supporto. Un nuovo paradigma che è destinato a generare importanti conseguenze sul vecchio modo di concepire l’acquisto e il consumo di beni una enorme opportunità di crescita per le aziende che saranno in grado di immaginare modalità collettive di fruizione dei prodotti che vendono.
Tra le poche dimensioni in crescita vi sono i grandi elettrodomestici, sostenuti dagli incentivi alle ristrutturazioni edilizie, i dispositivi tecnologici, smartphone e tablet e i contenuti digitali: i nuovi consumi distribuiti dal web.
Un nuovo consumatore digitale si affaccia prepotentemente sul mercato anche in Italia. Al fianco dei nativi digitali per i quali la rete è da sempre il palcoscenico delle esperienze di consumo, molti consumatori precedentemente analogici si digitalizzano: generazioni di quarantenni e cinquantenni che abbandonano minitower e pc per abbracciare la “realtà aumentata” di tablet e smartphone. La oramai ubiqua connettività mobile, la gigantesca mole di informazioni disponibili in rete e le minori disponibilità economiche delle famiglie sono i criteri della rivoluzione dei consumi che ci apprestiamo a vivere.
Innovazione dell’offerta e tecnologia si confermano ingredienti in grado di rivitalizzare la spesa: nonostante la scarsa diffusione e la diffidenza nei confronti della moneta elettronica, nell’ultimo anno il commercio elettronico ha conosciuto uno sviluppo del 20%.
Dal suo terreno di elezione, il turismo e i viaggi, il commercio elettronico sta dilagando in segmenti nei quali persino le vendite per corrispondenza avevano fallito, come l’abbigliamento, l’elettronica e i prodotti per la casa.
L’offerta online fa leva su una accattivante presentazione, sulla serenità dell’acquisto perfezionato nella mura domestiche, su una consegna in tempi rapidi, sulla leggerezza del ripensamento, oltre che su una buona dose di risparmio: cocktail di attributi che sta conquistando una schiera crescente di consumatori.
Con la recessione, tramonta la cosiddetta società dei consumi e l’acquisto dei beni perde molte delle componenti di identificazione sociale e rappresentazione personale per recuperare i valori di una maggiore frugalità e della concretezza dell’utilizzo. Come per le altre dimensioni del consumo anche nell’alimentazione l’obiettivo è spendere meno e meglio. Si confermano anche nel 2014 alcune tendenze emerse negli anni recenti: la pressione promozionale rimane ai massimi, prosegue la migrazione verso i discount e si conferma elevata l’attenzione agli sprechi. Altre tendenze conoscono invece un assestamento: si ferma la progressione del marchio commerciale e si attenua il ricorso al taglio delle quantità acquistate, che pur tuttavia continuano a diminuire.
Si scorgono tuttavia segnali di allentamento dei ritmi di caduta delle quantità vendute, coerenti con il debole recupero del potere d’acquisto, e un lievissimo progresso delle vendite di prodotti alimentari confezionati.
Siamo ai primi posti in Europa per importanza attribuita all’origine dei prodotti che mangiamo, preferiamo le produzioni biologiche anche se non sempre possiamo permettercele: sono evidenze che unite al primato europeo (che con ogni probabilità è anche mondiale) nella classifica del budget per l’alimentazione, descrivono un consumatore italiano che pur nelle difficoltà non rinuncia alla qualità del cibo e anzi è disposto a riconoscere un premio alle produzioni italiane certificate.
Crescono le vendite delle linee dedicate alle intolleranze alimentari, a vegetariani e vegani, i prodotti dietetici, i piatti pronti e i cibi etnici, si riaffaccia timidamente anche l’acquisto di impulso. Sono indicazioni che raccontano di un consumatore che pur nelle ridotte disponibilità economiche vuole ancora esercitare quella discrezionalità delle scelte che lo porta a preferire ai tagli “lineari” una revisione critica della propria spesa alimentare che sacrifichi il superfluo e limiti gli sprechi per continuare a difendere la qualità dei consumi.
Dopo anni di caduta nel 2014 le vendite della distribuzione moderna registrano un assestamento, favorito anche dal rallentamento dei prezzi. È ancora presto per dire se siamo in presenza di equilibrio stabile, poiché al pari delle altre dimensioni della spesa, anche l’alimentare rimane soggetto all’alea insita nelle fragilità e nelle questioni irrisolte del Paese: la bassa natalità, l’invecchiamento della popolazione, i molti disoccupati, la concentrazione delle ricchezze, l’elevato debito pubblico, la stessa sostenibilità di uno Stato sociale e dei diritti che avevano rappresentato la conquista delle generazioni del “miracolo economico”.
Il dettaglio italiano è in piena ristrutturazione, la superfici di vendita continuano a crescere, essenzialmente per il contributo della grande distribuzione non alimentare e dei discount. Il calo del fatturato trasversale a tutte le specializzazioni del commercio al dettaglio e lo sviluppo prepotente del commercio elettronico che inanella successi a due cifre, preludono con ogni probabilità ad una ulteriore razionalizzazione delle superfici di vendita. La grande distribuzione alimentare ha già avviato questo percorso: le superfici espositive sono per la prima volta nella storia in calo.
Nonostante l’esito non proprio soddisfacente del 2014 le prospettive per il 2015 si aprono all’insegna di un cauto ottimismo. Infatti, i recenti provvedimenti di politica economica, tra i quali la riconferma del bonus fiscale e la possibilità di trattenere in busta paga l’accantonamento di fine rapporto, unitamente all’assenza di inflazione dovrebbero permettere un recupero del reddito disponibile reale superiore al punto percentuale; incremento dei redditi che non si vedeva dall’inizio della crisi. Una boccata di ossigeno per i bilanci delle famiglie che interrompe un lungo triennio in cui l’incremento della tassazione e il peggioramento del mercato del lavoro hanno rappresentato la principale causa di arretramento dei consumi.
Il segno profondo lasciato della recessione, e delle incerte prospettive del prossimo futuro, fanno parte dei progressi del reddito disponibile saranno destinati dalle famiglie a nuovi risparmi, per ricostruire quel cuscinetto finanziario di sicurezza pericolosamente eroso negli ultimi anni.
Unitamente a questi fattori, le prospettive di un recupero pur graduale dell’occupazione e d’allentamento delle restrizioni al credito bancario, sono attese favorire un abbrivio dei consumi delle famiglie poco sotto il punto percentuale, su ritmi che mancavano dal 2010.
La crescita dei consumi prenderà ragionevolmente le vie del bene durevole, e dunque dell’auto, del mobile, dell’elettronica e degli elettrodomestici, sostenuta dalle necessità di una sostituzione a lungo rinviata; in recupero anche i consumi di servizi, soprattutto quelli alla famiglia e alla persona e, pur in misura minore, legati all’uso del tempo libero e al turismo.
Fanalino di coda i generi alimentari e i beni di largo e diffuso consumo, che pagano il passo più lungo degli altri segmenti di consumo e la consapevolezza maturata dai consumatori negli anni dell’austerità di poter costruire giorno dopo giorno in questi mercati competitivi e maturi i risparmi che servono a finanziare le spese discrezionali e i contenuti emozionali che le famiglie ricercano altrove.
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