Ripresa e recessione sono temi che segnano contemporaneamente lo scenario economico mondiale del 2010. Infatti, l’economia ha effettivamente invertito la rotta, ma l’eredità della crisi è tale da limitarne la velocità di recupero e compromettere le prospettive per le famiglie e i consumi.

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Ripresa e recessione sono temi che segnano contemporaneamente lo scenario economico mondiale del 2010. Infatti, l’economia ha effettivamente invertito la rotta, ma l’eredità della crisi è tale da limitarne la velocità di recupero e compromettere le prospettive per le famiglie e i consumi. A livello mondiale, l’eccesso di indebitamento è certamente il lascito peggiore della crisi. Il debito accumulato – a seconda dei casi, dalle famiglie, dalle banche, dalle imprese, dagli stessi Stati – rappresenta una peculiarità della fase storica attuale e ipoteca pesantemente il futuro. I prossimi anni, forse i prossimi decenni, saranno ostaggio della necessità di ripianarlo.
In questo difficile contesto si inserisce l’analisi del Rapporto Coop 2010 sui consumi degli italiani e l’evoluzione della distribuzione commerciale che, anche quest’anno, si avvale della collaborazione scientifica di ref. e dei contributi originali di Nielsen.

Il Rapporto sottolinea, innanzitutto, come in Italia la crisi economica abbia prodotto effetti più ampi che negli altri grandi paesi europei evidenziando una netta contrazione dei consumi. La riduzione dell’inflazione, l’andamento favorevole del reddito disponibile e la complessiva tenuta dell’occupazione non hanno impedito, infatti, una drastica riduzione della spesa delle famiglie. I consumi procapite degli italiani nel biennio 2007-’09 si sono ridotti di oltre 600 euro all’anno, 181 euro solo nella componente alimentare. Il costo della crisi si concentra, poi, soprattutto sui ceti medi, sfavorisce i giovani e i lavoratori con minori tutele, penalizza le aree territoriali meno forti, soprattutto al Sud. La recessione, peraltro, ha inciso in un corpo sociale già provato da anni di difficoltà economiche e ha reso le famiglie italiane più vulnerabili di quelle degli altri grandi paesi europei. Solo un terzo degli italiani, ad esempio, si dichiara in grado di affrontare con serenità una spesa imprevista di mille euro.

L’andamento dei prossimi mesi dipenderà, invece, essenzialmente dall’evoluzione del mercato del lavoro. È possibile stimare, infatti, come nel sistema produttivo sia ancora presente un surplus latente di 280mila lavoratori che rischiano ancora di perdere il lavoro nei prossimi mesi. Tale circostanza, pur attenuata dalla dinamica moderata dei prezzi, non consente la ripresa del reddito delle famiglie, ancora in flessione nel 2010 e in debole recupero solo dal 2011. La crescita dei consumi torna marginalmente positiva già quest’anno ma, per queste ragioni, resta molto debole anche in una prospettiva di mediolungo termine.
Il Rapporto, allo stesso modo delle passate edizioni, tenta di andare oltre l’analisi macroeconomica aggregata per cogliere, invece, l’evoluzione dei consumi dei singoli comparti merceologici e dei diversi segmenti del mercato. Le medie nazionali sono, infatti, sempre più, mere convenzioni statistiche dietro le quali si nasconde l’evolversi autonomo e spesso divergente degli innumerevoli frammenti merceologici, geografici, socio-demografici, culturali ed economici di cui si compone il variegato mondo del consumo degli italiani. Si scopre, così, che la crisi, come nelle precedenti recessioni, ha penalizzato i consumi che è possibile rinviare. È caduta la domanda per l’arredamento, gli elettrodomestici, il vestiario e lo stesso comparto auto che, a dispetto degli incentivi, ha visto nel 2009 la prima contrazione degli ultimi venti anni. Sorprendentemente, però, anche i consumi di beni di uso quotidiano hanno subito una forte contrazione e stentano a riprendersi; tra questi certamente l’alimentazione domestica, i prodotti per la casa e lo stesso consumo di carburante.
Al contrario, dopo la crisi tornano evidenti le nuove istanze della società italiana. Crescono i consumi degli adolescenti (la cosiddetta generazione Y) che cominciano a condizionare le scelte di consumo delle famiglie (elettronica di consumo, comunicazione telematica, connettività mobile, pay per view). Si affermano le necessità di una popolazione che invecchia (servizi sanitari, assistenza domestica, farmaci). Riemergono i consumi di “nuova necessità”: ancora una volta la telefonia, le vacanze, i pasti fuori casa, i servizi ricreativi e culturali.

Il Rapporto sottolinea, poi, come siano i single, soprattutto gli anziani soli, che maggiormente subiscono l’onere delle spese obbligate (mutuo, affitto, utenze, ecc) e fanno più fatica a far quadrare il bilancio a fine mese. Le famiglie del Sud, invece, consumano circa i due terzi di quelle del Nord, dimostrandosi anche in questo caso più fragili nei confronti della crisi. Si scopre, inoltre, come la disoccupazione di un componente della famiglia determini una compressione dei consumi familiari di oltre 330 euro al mese con effetti soprattutto sulla spesa per la mobilità, lo svago e la manutenzione della casa.
Dall’analisi dei microdati sui consumi emergono, però, anche le componenti più dinamiche della società italiana. Le donne, ad esempio, pur guadagnando di meno, spendono proporzionalmente di più degli uomini e indirizzano i loro consumi a favore della casa, dell’abbigliamento, della cultura e della salute e rinunciano più agevolmente ai costi all’auto e ai pasti fuori casa. Allo stesso modo i giovani, utilizzano maggiormente il proprio reddito per mettere su casa (alloggio e arredamento), rimanere connessi con il mondo (telefonia e servizi di comunicazione) vivere al meglio la loro vita. Il Rapporto sottolinea, ancora, come le famiglie che usano internet, già nel 2008, spendevano quasi 1.200 euro al mese in più rispetto agli altri nuclei familiari.

Le analisi condotte nel Rapporto hanno confermato, inoltre, come l’alimentare sia stato l’epicentro della più complessiva crisi dei consumi, secondo un paradigma che non ha precedenti nelle altre fasi recessive vissute dall’economia italiana. Cionondimeno, l’analisi degli andamenti del largo consumo confezionato (Lcc) evidenzia come questo sia solo il risultato finale dei profondi cambiamenti nei comportamenti di acquisto e di consumo degli italiani. Infatti, da un lato, essi continuano a ricorrere al downgrading della spesa per abbatterne il costo senza intaccarne il valore di consumo (preferendo i marchi commerciali alla marca, la Gdo al tradizionale, le merceologie più economiche a quelle più costose). Allo stesso tempo, però, non rinunciano ai prodotti di qualità e soprattutto a quelli che incorporano quote crescenti di servizio (piatti pronti, surgelati, pronti da cuocere, ecc.) e ai prodotti che consentono una maggiore attenzione verso la propria salute (alimenti funzionali, prodotti salutistici e per le intolleranze, prodotti biologici). In tutti i casi, vi è un’attenzione sempre maggiore alle quantità acquistate, con un approccio sempre più razionale, attento agli sprechi e all’equilibrio tra prezzo pagato e contenuti di qualità e servizio del bene acquistato. La netta affermazione della marca privata costituisce una delle dimostrazioni più eloquenti di tale caratterizzazione.

Il Rapporto illustra, inoltre, come la violenta contrazione dei consumi stia determinando cambiamenti strutturali sulle dinamiche del dettaglio italiano ed in particolare della Gdo.
La grande distribuzione continua a crescere nella sua componente non alimentare e – in minor misura – anche in quella a prevalenza alimentare. In questo caso, però, la crescita appare più l’abbrivio dello sviluppo degli ultimi anni piuttosto che il protrarsi della lunga stagione di crescita del settore. Le nuove aperture, infatti, sono il risultato di scelte di investimento adottate in altri contesti temporali e competitivi e che in molti casi non saranno replicate in futuro.
Pare, invece, definitivamente avviato un processo di riconfigurazione strutturale e competitiva molto più profondo di quello che lascia intendere la crescita delle superfici. Tra aperture e chiusure, cambi di formato e di insegna , in un solo anno oltre un quinto della rete moderna italiana è stata interessata da fenomeni di ristrutturazione!

Lo stesso sviluppo si muove, oramai, in maniera selettiva, indirizzandosi ai formati più performanti, ai centri di medie e piccole dimensioni, alle regioni – soprattutto meridionali – che offrono ancora spazi di mercato adeguati. Esiste, in particolare, una convergenza verso formati intermedi, con ipermercati sempre più piccoli e supermercati e discount sempre più grandi. Il settore sembra ridisegnare una nuova concezione del presidio del territorio dove supermercati e discount divengono sempre più riferimenti per la prossimità, superando i negozi a libero servizio di più piccole dimensioni che, infatti, nel corso del 2009, perdono in unità locali ed in superficie di vendita. È comunque certamente un fatto che il 2009 ha segnato, forse per la prima volta, la cessazione di alcuni ipermercati.
Cominciano allo stesso modo a ridursi i divari geografici. Le densità distributiva delle regioni meridionali si avvicina al dato nazionale e converge verso quello delle regioni settentrionali.
Da ultimo, il Rapporto dedica un approfondimento alle opzioni di politica economica necessarie per permettere alle famiglie italiane di recuperare i livelli di benessere precedenti alla crisi.
L’imperativo per l’Italia è tornare a crescere. E per farlo deve aumentare la capacità del proprio sistema economico di generare valore e ridistribuirlo in maniera più equa. Deve favorire una società più aperta che riattivi l’ascensore sociale ed offra opportunità di crescita alle sue componenti più vitali.
Il tema delle riforme è fondamentale.

Una prima leva è certamente quella delle liberalizzazioni. L’apertura dei settori dei servizi alla concorrenza avrebbe effetti dirompenti sull’economia italiana. Almeno pari al 10% del Pil in un decennio. In termini di consumi questo equivarrebbe ad una maggiore spesa procapite di circa mille e duecento euro all’anno, cento euro al mese. Ragionando in termini di nucleo familiare l’aumento medio potrebbe essere di circa tremila euro, circa duecentocinquanta euro in più al mese. Non si tratta di ipotesi velleitarie e, ancora una volta i servizi di distribuzione sono al centro dell’attenzione. Il Rapporto stima, infatti, che permettendo al sistema distributivo italiano di evolvere su livelli europei – nel largo consumo ma anche nei farmaci, nei carburanti e negli stessi prodotti finanziari – si potrebbe ottenere un risparmio potenziale per le famiglie che supera, solo in questo settore, i 700 euro annui.

La seconda leva è quella del riequilibrio dei divari sociali. Una società più giusta cresce di più perché impiega in maniera più efficiente le proprie risorse. Il Rapporto stima, ad esempio, che se a parità di reddito totale si spostasse il 10% dei redditi da lavoro dagli uomini alle donne si potrebbe ottenere un aumento dei consumi di circa 7 miliardi di euro all’anno. Allo stesso modo, sempre se si favorisse uno spostamento di risorse dalle famiglie più agiate ai nuovi entranti nel mercato del lavoro sarebbero alcune centinaia di migliaia i giovani che potrebbero uscire dalle proprie famiglie di origine e mettere su casa in autonomia.
Emerge, dunque, con forza la necessità di una nuova stagione di riforme che consenta di elevare il metabolismo del sistema economico e sociale italiano, di offrire nuove chance ai più meritevoli e permettere a tutti i cittadini di godere di una società più equa e funzionale. In questo modo è possibile tornare a crescere e sottrarre l’Italia ad un declino che non è ineluttabile ma ha bisogno di essere sovvertito.