In crescita anche tra le giovani generazioni, il tattoo conquista la pelle degli italiani come un modo per distinguersi o rendersi più belli. Ma già il 17% di chi ce l’ha, vorrebbe cancellarlo

Meglio un tatuaggio che un gioiello. Sembra questo il trend dell’Italia post crisi in cui, stando al primo censimento effettuato nel 2015 dall’Istituto Superiore di Sanità sulla diffusione dei tatuaggi nel Paese, il 12,8 per cento della popolazione ha ricoperto il proprio corpo con almeno un tattoo. Un modo di decorare braccia, gambe, viso e torace che potrebbe compensare la bassa propensione degli italiani all’acquisto di oro e pietre preziose. In un sondaggio della Nielsen del 2015, su cosa influenza gli acquisti degli italiani, il 40 per cento affermava che non avrebbe comprato gioielli, contro il 29 per cento della media europea.

Niente preziosi dunque, ma sì all’impreziosimento, con sette milioni di persone nel Paese già tatuate. Più numerose  le donne  (13,8 per cento contro l’11,7 degli uomini) e in età compresa tra i 35 e 44 anni (29,9 per cento contro il 21,4 dei 25-34enni). Cifre che reggono il confronto con gli Usa dove, nel 2015, secondo il sondaggio di Harris Pool, il 29% degli adulti era tatuato (alcune statistiche parlano del 42 per cento nel 2016, come quelle pubblicate dal movimento statunitense Stapaw, Support Tattoos and Piercings at Work).

Stando all’Istituto superiore di sanità, il più tatuato è l’italiano del Nord (uno su quattro), con una laurea (il 30,7 per centro del totale ne ha conseguita una) e un lavoro (63,1 per cento del totale). Gli uomini prediligono colorare braccia, spalle e gambe mentre le donne scelgono più spesso schiena, piedi e caviglie.

Un vero e proprio mercato con un giro d’affari stimato intorno ai 90 milioni di euro che nel 2010, secondo lo studio della Camera di commercio di Monza e Brianza sui dati del Registro imprese, ha già superato le 1000 attività. Si tratta per lo più di negozi individuali (il 90 per cento rientra nella categoria) e con  uomini come titolari (53,7 per cento) con un’età compresa tra i 30 e i 40 anni.

Ma quanto costa un tatuaggio? Secondo le stime della Camera di Commercio brianzola il minimo che si può spendere sono 50 euro (45 $  in Usa secondo Stapaw), mentre è più dispendioso rimuoverlo: circa 1000 euro in media. La ricerca dell’Iss infatti, registra che anche se più di 9 tatuati su 10 (92,2%) si dicono soddisfatti della propria scelta, il 17,2% ha dichiarato di voler rimuovere il tatuaggio e tra di loro, il 4,3 per cento lo ha già fatto.

Cosa spinge gli italiani a decorare il proprio corpo? Dall’indagine dell’Istituto superiore di sanità, emerge che solo lo 0,5 per cento delle persone sono ricorse ai tattoo per motivi medici (come coprire una cicatrice) e solamente il 3 per cento ha scelto il trucco permanente (magari a seguito di qualche ciclo chemioterapico). È proprio qui che forse emerge uno dei cambiamenti più profondi di questo fenomeno. Se nella Roma antica i legionari si tatuavano il nome dell’imperatore per dimostrare la loro dedizione o i cristiani si imprimevano sulla pelle i simboli della loro fede, oggi il tatuaggio potrebbe non servire più per affermare un credo, un valore o un’appartenenza. Sei anni fa, l’Università di Bari ha intervistato un campione di 1656 immatricolati all’anno accademico 2009-2010. Alla domanda su cosa li avesse spinti a tatuarsi, il 28,4 per cento del campione non sapeva esprimere nessuna motivazione in particolare, mentre il 23,8 dichiarava di averlo fatto per motivi estetici, il 18,4 per distinguersi e il 12,3 per moda.

Il fenomeno per altro, è in crescita nelle nuove generazioni. L’Iss ha rilevato che il 7,7 per cento dei minorenni ha già un tattoo e lo studio dell’UniBa, ha evidenziato che del campione esaminato (età media 20 anni) il 9,6 per cento si è già fatto un tatuaggio quando aveva 17-18 anni.

Una scelta fatta con semplicità  e in autonomia soprattutto per i più giovani che dichiarano in maggioranza (56,3 per cento) di aver impiegato meno di un mese a decidere e di averlo fatto da soli (del 77,3 per cento che si è tatuato prima dei 18 anni, il 68,2 racconta di averlo comunque comunicato ai genitori).

Il nuovo fenomeno del tattoo in compenso, ha cancellato in modo definitivo le tesi di Cesare Lombroso che a fine ‘800 aveva relegato nell’oblio l’arte del tatuaggio definito un’usanza da selvaggi, assassini e delinquenti.

 

Fonti: Iss, Nielsen, Ufficio studi della Camera di commercio di Monza e Brianza, The Harris Poll, BioMed central, Stapaw