Ci sono due passioni che stanno coinvolgendo gli italiani oltre a quella classica del calcio. Da un lato c’è l’amore ormai già confessato per la televisione, dall’altro la febbre per i social e per la condivisione dei propri pensieri. Già nel Rapporto Coop 17 avevamo raccontato come gli italiani siano appassionati a Facebook o Twitter, seppur con alcune reticenze.
La televisione non ha abbandonato il salotto degli italiani. A 63 anni dalla prima trasmissione Rai, la tivù rimane ancora il mezzo più utilizzato con 9 italiani su 10 che la guardano abitualmente. Mentre 6 su 10 ascoltano la radio e meno di uno su due legge un giornale. Va detto che secondo gli ultimi dati Nielsen, gli italiani stanno abbandonando un po’ il piccolo schermo con cali di quasi il 3% di telespettatori tra il primo semestre del 2016 e lo stesso periodo del 2017.
Ma la passione tutta italiana per le trasmissioni televisive rimane ed è talmente forte che di recente alcune aziende hanno iniziato a studiare quella che viene definita la social Tv, cioè il commento live dei programmi tivù attraverso post o tweet. In uno studio realizzato da Nielsen tra gennaio e giugno del 2017, ogni mese quasi 5 milioni e mezzo di italiani hanno commentato i programmi televisivi sui social network. I 124 milioni di interazioni monitorate riguardavano per il 40% eventi sportivi, per il 34% intrattenimento e poi a scendere talent show, seguiti da talk o approfondimenti politici.
Nei mesi in cui tutto il mondo dell’informazione si interroga sulle fake news, gli italiani si dimostrano molto combattuti. Siamo tra i più creduloni d’Europa, nel senso che proprio l’Italia, stando a una ricerca di Eurobarometro, è tra le nazioni in cui la percentuale di popolazione che crede indistintamente a ciò che legge nei social è più alta. L’11% dichiara di considerare le storie trovate on line generalmente affidabili, contro il 5% dei francesi o il 6% dei tedeschi. Allo stesso tempo però c’è anche un 27% degli italiani che non crede alle news trovate sui social e un 26% che ci crede se il post è realizzato da una fonte considerata attendibile.
I social network hanno pagato il conto più salato per la diffusione delle fake news durante la campagna elettorale per la presidenza statunitense tra l’estate e l’autunno 2016. In Europa secondo il report “Trust in media” di EBU (European Broadcasting Union), la radio è considerata il media più affidabile tra tutti da buona parte del continente (fanno eccezione ad esempio i Paesi Balcanici o il Portogallo). Gli italiani credono molto anche nella tv, un po’ meno nella carta stampata, ma credono molto di meno nei social network.
Soltanto internet in genere ha mantenuto la sua credibilità, almeno tra gli italiani che sono i più fiduciosi del continente rispetto all’online (fanno meglio solo Lituania, Repubblica Ceca, Polonia. Bulgaria e Grecia). Stando a uno studio dello statunitense Quello center realizzato assieme alla Michigan State University, proprio gli italiani ammettono che attraverso le ricerche online hanno appreso cose che in qualche modo hanno cambiato la loro idea politica. Uno dei valori più alti (pari soltanto a quello degli Stati Uniti d’America) tra i sette Paesi censiti dallo studio (Regno Unito, Francia, Germania, Polonia, Spagna e appunto Italia e Stati Uniti ).
Il mercato della stampa italiana non è stato mai particolarmente grande. Come scrive Alessio Cornia, ricercatore per il Reuters Institute, la lettura dei quotidiani in Italia è sempre stata piuttosto bassa e il panorama dei giornali è caratterizzato da realtà deboli dal punto di vista commerciale. Se agli inizi degli anni 2000 i quotidiani vendevano circa sei milioni di copie al giorno, nel 2016, la cifra ha superato di poco i 2,5 milioni.
L’informazione si è spostata sul web, dove i siti di news più letti come repubblica.it o corriere.it, secondo i dati Audiweb, raggiungono quotidianamente quasi 6 milioni di visite il primo e 4 milioni il secondo. Gli italiani nascono e restano poi un popolo di calciatori per cui tra i siti più letti c’è anche la Gazzetta.it con altre 4 milioni di visite.
Come una coperta troppo corta per coprire tutti però, la fiducia nel web sommata alla sua gratuità, si è trasformata in una fuga dei lettori dai media tradizionali. In queste condizioni, i grandi gruppi editoriali italiani navigano a vista nel tentativo di rendere remunerativo l’online. Ci stanno provando alcuni, tra cui il gruppo RCS che ha messo a pagamento una certa quantità di contenuti del Corriere della Sera o la nuova Repubblica con la sua app a pagamento in abbonamento mensile. A tutt’oggi però gli acquisti dei giornali digitali stentano a decollare. Le due maggiori testate italiane, Corriere della Sera e la Repubblica, a giugno del 2017 hanno registrato in media rispettivamente 37 mila e 29 mila copie digitali vendute, a fronte di una tiratura cartacea media di 319 mila copie per il quotidiano del gruppo RCS e 299 mila per l’omonimo del gruppo Gedi (ex Gruppo l’Espresso). Un rebus che deve essere a breve risolto dalle aziende editoriali per garantire a queste tradizioni editoriali secolari o decennali di sopravvivere alle innovazioni del terzo millennio.
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