“Una nuova alba per l’Europa”, con queste parole i presidenti delle istituzioni europee Charles Michel (Consiglio), David Sassoli (Parlamento) e Ursula Von Der Leyen (Commissione) commentano l’esito della giornata del 21 luglio 2020. Questa data sancisce l’inizio di una nuova Europa: dopo quattro giorni di tumultuose trattative, il Consiglio Europeo, che riunisce i capi di Stato e di governo dei 27 paesi membri, ha raggiunto un accordo su composizione e risorse del prossimo bilancio europeo (valido per il periodo 2021-2027) e soprattutto sul Next generation EU, fondo più noto con il nome di Recovery Fund, nato per aiutare le economie europee piegate dall’emergenza Covid.

Si tratta di un accordo senza precedenti: per la prima volta nella storia, i singoli paesi membri danno mandato alla Commissione europea di creare un debito comune per una somma davvero ingente: 750 miliardi di euro. Tale enorme cifra si va tra l’altro a sommare alle altre misure già messe in campo dall’Ue per supportare gli Stati membri nel fronteggiare la crisi economica: 540 miliardi di euro di prestiti e garanzie per supportare la sanità (fondi del Mes), tutelare i lavoratori (programma Sure) e sostenere le imprese (Bei).

L’utilizzo delle risorse del Fondo per la ripresa sarà vincolato alla adozione di efficaci riforme strutturali che convergano sugli obiettivi di sviluppo individuati dal Piano (in primis sostenere economicamente le aziende europee di settori, regioni e paesi più colpiti, rivitalizzare il mercato unico europeo, supportare investimenti in settori strategici con attenzione particolare ai temi delle transizioni green e digitale, rafforzare la sicurezza sanitaria). Ci sarà, contestualmente, una continua vigilanza da parte di Consiglio e Commissione europea sulle modalità di investimento delle risorse messe a disposizione.
Tale condizionalità per l’uso dei fondi, che ha alimentato un ampio dibattito politico interno circa la presunta perdita di sovranità del governo nazionale, è invece apprezzata da manager e dirigenti italiani. Oltre i due terzi degli executive che hanno partecipato all’indagine “Italia 2021 il Next Normal degli Italiani – Executive Survey“ dell’Ufficio Studi Ancc-Coop ritengono, infatti, che la richiesta di un piano di riforme nazionali come pre-condizione per accedere alle risorse permetterà di fare una migliore programmazione della spesa; al contrario solo una quota minore (31%) pensa che i vincoli posti da Bruxelles limiteranno l’utilizzo dei fondi e ne ridurranno l’effettiva utilità.
Del Recovery Fund all’Italia va la porzione più grande in quanto è stata definita dai vertici a Bruxelles come il paese europeo maggiormente colpito dal Covid. Parliamo di circa 209 miliardi di euro (il 28% del totale), di cui 81 miliardi di euro di sussidi a fondo perduto e 127 miliardi di euro di prestiti (da restituire comunque a condizioni favorevoli). Un pacchetto che nel complesso vale ben il 12% del Pil del nostro Paese. A seguire la Spagna (140 miliardi di euro), il secondo paese più colpito dagli effetti economici della pandemia, e poi Polonia e Francia.

Tuttavia, se misuriamo l’impatto del piano guardando ai valori netti procapite del Recovery Fund la situazione è ben diversa. L’Italia si posiziona a metà classifica potendo contare su un contributo pari a 940€ euro per abitante, superata di poco dalla Polonia (con 950€ procapite) ma molto distante dai valori della Spagna (1.750€) e soprattutto della Grecia, che con oltre 3.000€ per abitante si colloca al primo posto della classifica. Al contrario, chi evidenzia un saldo negativo sono soprattutto la Francia, Germania e la maggior parte dei paesi dell’Europa continentale: tutti questi sono infatti contributori netti.
Non solo aiuti finanziari ad hoc. Unione europea e autorità di altri paesi (come ad esempio gli Stati Uniti), si sono mosse in soccorso delle proprie economie adottando misure e politiche monetarie espansive per garantire liquidità sui mercati, sostenere il credito a famiglie e imprese, supportare gli investimenti e stimolare la domanda. Una strategia sulla cui efficacia gli executive italiani esprimono pareri discordanti.
Brano tratto dall’Anteprima digitale del Rapporto Coop 2020
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