Era meglio quando stavamo peggio. Questa frase l’abbiamo sentita centinaia di volte nella nostra vita, proclamata al bar davanti un caffè o a Natale davanti alla tavola imbandita. In realtà dietro a questo proverbio si nasconde un convincimento abbastanza radicato, quantomeno nella società italiana. L’istituto di ricerca statunitense Pew Research ha rivolto questa domanda a circa 43 mila persone in 38 nazioni: “La vita nel suo Paese è migliore o peggiore di quella di 50 anni fa?”. In Asia si è avuto il risultato migliore, con nazioni come il Vietnam che sono in cima alla classifica di chi sente di stare meglio (88%). L’Africa è spezzettata così come il Medio Oriente a seconda della complessa storia del proprio paese (Sud Africa 47%, Tunisia 27%, Indonesia 51%, Sud Corea 68%). L’America in genere si sente meglio (Canada 55%, Cile 46%) anche se fanno eccezione gli Stati Uniti (37%). E l’Italia? In un’Europa i cui cittadini si sentono in condizioni migliori rispetto a mezzo secolo fa (Germania 65%, Polonia 62%), greci e italiani sono in fondo alla classifica. Neanche un italiano su quattro crede che la sua vita sia migliorata dagli anni ’60 a oggi, sempre uno su quattro dice che più o meno siamo sempre lì, ma ben un italiano su due dice che si sta peggio.
Ma la nostra vita è davvero peggiorata nell’ultimo mezzo secolo? Per scoprirlo abbiamo analizzato alcuni degli indicatori classici di benessere e ricchezza. Prima di tutto siamo molto più in salute di un tempo. Dagli anni Sessanta a oggi la mortalità infantile si è ridotta di dieci volte (nel 1967, 33 bambini su mille morivano prima di compiere un anno, erano soltanto 3 nel 2016). Abbiamo un’aspettativa di vita che ci ha regalato una decade di esistenza in più (dai circa 70 agli oltre 80 anni di oggi). Mangiamo decisamente di più (dai 48 chilogrammi di carne pro capite in un anno del 1967 agli 81 del 2016). Più sani ma anche più ricchi, con un pil pro capite passato dagli oltre 15 mila dollari l’anno a testa a metà anni ’60, ai quasi 35 mila del 2016. Sono migliorate le condizioni del mercato del lavoro, in particolare per le donne (tasso di attività dal 27% al 40%, tasso di occupazione dal 25% al 35%) e siamo in genere più istruiti (nei primi anni Sessanta gli analfabeti o coloro che non avevano studiato erano il 24% della popolazione contro l’1% dei laureati, nel 2011 chi non sapeva leggere o non aveva avuto un’istruzione rappresentava il 9% della popolazione a fronte di un 11% di laureati).
50anni di Italia in pillole
rank | Indicatore | 1967 | 2016 | Var. |
---|---|---|---|---|
1 | Aspettativa di vita alla nascita (anni) | 71 | 83 | 12 |
2 | Pil pro-capite (prezzi costanti, dollari) | 15 | 34 | 19 |
3 | Consumi delle famiglie pro-capite (prezzi costanti, dollari) | 10 | 20 | 10 |
4 | Tasso di attività femminile (%) | 270 | 405 | 13 |
5 | Tasso di occupazione femminile (%) | 247 | 353 | 11 |
6 | Analfabeti o Alfabeti privi di titoli di studio (%) | 24 | 9 | -15 |
7 | Laureati (%) | 1 | 11 | 10 |
Ma allora perché siamo convinti di stare peggio? Lo stesso centro di ricerca statunitense, nella redazione del proprio report evidenzia che nelle nazioni in cui le condizioni economiche percepite sono peggiori, la tendenza è quella di pensare che si stia peggio di mezzo secolo fa. In fondo al grafico compaiono infatti la Grecia e l’Italia. Ciò che ci atterrisce sono quindi gli ultimi anni trascorsi a combattere la crisi economica. Ci sentiamo più precari: dal crollo della Lehman per esempio, il tasso di occupazione femminile è calato dal 45,8% nel 2007, al 43,7% nel 2016. Ci sentiamo più poveri: il pil pro capite è passato dagli oltre 38 mila dollari l’anno a poco più di 34 mila, con cali anche del -3,1%. La salute certo non ci manca, ma in conclusione ciò che non migliora è la percezione della propria situazione economica, che sembra affossare tutto il resto. Interrogati dal Pew Research, neanche un italiano su cinque dice che l’economia nazionale si trova in un buono stato, contro l’oltre 80% di tedeschi, olandesi o svedesi, e il 50% degli inglesi. Infatti per gli italiani la paura di perdere il lavoro rimane una delle più sentite.
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